Ce ne parla Don Franco Tassone

Nel 1030° anniversario della morte del Santo, quarto Abate del monastero di Cluny nella Borgogna francese, e a trent’anni anni dal Convegno Internazionale per il suo Millenario, la Città di Pavia, con la sua basilica del SS. Salvatore che conserva le memorie monastiche cluniacensi e il ciclo pittorico in otto affreschi della vita di San Maiolo di Bernardino Lanzani (inizio XVI sec.) e la Città di Novara, con la sua chiesa dedicata a San Maiolo in Veveri, organizzano un Convegno che gravita attorno a tre fuochi principali: i siti di Cluny, Pavia e Novara. Anzitutto, per Cluny si cercherà di evidenziare come sia andata crescendo la sensibilità spirituale, liturgica e strutturale nell’impostare gli spazi sacri per un buon funzionamento della vita di fede della comunità; in altre parole, la necessità di far sorgere un’ulteriore chiesa abbaziale (Cluny II), sorretta da una visione rinnovata tra spazio architettonico e liturgia;

e come tale sviluppo interno alla fondazione di Cluny abbia contribuito a un’espansione progressiva del carisma monastico, in dipendenza diretta con la Chiesa romana (con i contributi di Silvia Beltramo e Giancarlo Andenna). Poi, Pavia, con la presenza dello spirito cluniacense e della riforma benedettina portata dal «monaco nero» Maiolo e la sua ricezione lungo i secoli successivi (con i contributi di Dom Giovanni Spinelli OSB, Saverio Lomartire, Andrea Spiriti, Laura Facchin, Luisa Erba). Infine, Novara, come luogo di conservazione successiva del culto del Santo, di cui restano la dedicazione di due chiese parrocchiali sul tutto il territorio nazionale, entrambe nella Diocesi di Novara: Agrano, frazione di Omegna e Novara Veveri, polo novarese del convegno qui presentato (con il contributo di Franco Dessilani).

Il sottotitolo – Cluny, Pavia e Novara: un monachesimo tra coltura della terra e cultura della fede – si ispira a un passaggio di un importante intervento di papa Benedetto XVI sull’ordine cluniacense, nell’Udienza generale di mercoledì 11 novembre 2009 (QUI) in cui il Pontefice sottolineava le due dimensioni evocate nella titolazione del Convegno:
«I monasteri cluniacensi disponevano di ampie proprietà che, messe diligentemente a frutto, contribuirono allo sviluppo dell’economia. Accanto al lavoro manuale, non mancarono neppure alcune tipiche attività culturali del monachesimo medioevale come le scuole per i bambini, l’allestimento delle biblioteche, gli scriptoria per la trascrizione dei libri».
Il valore storico del Convegno è funzionale a riproporre nell’oggi una riflessione critica attorno alle strategie spirituali e di ispirazione evangelica, caratteristiche della tradizione cluniacense, per un rinnovamento attuale della testimonianza cristiana, al servizio della società umana del nostro Occidente, cresciuto su radici ebraico-cristiane, conservate e trasmesse, per lo più, dalla tradizione monastica.

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